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Dio e l'uomo

Come ti chiami, Signore? Il nome “Gesù”

Come ti chiami, Signore? Il nome “Gesù” 17 Ottobre 2019

Quando vogliamo conoscere una persona come prima cosa le chiediamo come si chiama, le chiediamo di dirci il suo nome.

Nella Sacra Scrittura l'imposizione del nome non è semplicemente una formalità burocratica, ma è un augurio e un'indicazione del compito che quella persona svolgerà nella sua vita.

Anche il Signore, il Verbo incarnato, ha avuto un suo nome proprio, come tutti noi: il nome “Gesù”. È stato Dio stesso a scegliersi il suo nome proprio quando si è fatto uomo, facendolo annunciare da un angelo prima a Maria (cf. Lc 1,30-33) e poi a Giuseppe (cf. Mt 1,20-21).

Ma che cosa significa questo nome? Il nome “Gesù” viene dall'ebraico “Iehosua”, che significa “YHWH salva”. Tommaso d'Aquino dedica un intero articolo della sua Summa theologiae (III, q. 37, a. 2) alla domanda: era conveniente che a Cristo fosse dato il nome proprio di “Gesù”? E risponde di sì, perché è un nome che esprime bene la sua missione: quella appunto di salvare tutti gli uomini.

Ma salvarli da cosa? Il testo del Vangelo di Matteo dice espressamente «dai peccati» (Mt 1,21). Tommaso, sempre nella Summa theologiae (III, q. 49), parla di una triplice salvezza/liberazione che Gesù ha ottenuto per l'uomo: la liberazione dal peccato, dalla pena dovuta al peccato (principalmente la condanna all'inferno), dal potere del diavolo. Cristo, infatti, dice l'Aquinate, con la sua vita e soprattutto con la sua passione e morte, ha espiato i nostri peccati, ha riparato al male commesso dall'uomo, lo ha redento versando il suo sangue come prezzo del suo riscatto; così ci ha liberato dal peccato (soprattutto il peccato originale, ma anche i nostri peccati attuali), e, col peccato, ci ha liberato anche dalla pene ad esso dovute, che, per altro, egli ha assunto di sé, e ci ha affrancati dalla servitù al diavolo, al quale l'uomo si era sottomesso col suo peccato.

Nel suo Commento al Vangelo di Matteo (I, 5) Tommaso dice un'altra cosa interessante: che anche nell'Antico Testamento si parla di uomini che salvano, che liberano, ma in quel caso la salvezza e la liberazione era di tipo materiale, terreno: era la salvezza, la liberazione dai nemici umani. Gesù invece ci salva dal peccato e dai nemici spirituali. Potremmo aggiungere che quella liberazione era limitata al solo popolo di Israele, mentre Gesù ha salvato tutti gli uomini. Come salvatori e liberatori nell'Antico Testamento possiamo pensare ai giudici, che liberarono Israele dai suoi oppressori, e a Giosuè, che sconfisse i popoli cananei e introdusse il popolo ebreo in Palestina. Molto interessante quest’ultimo caso. Il nome “Giosuè” in ebraico, infatti, è una variante di Gesù: in pratica è lo stesso nome in due forme ebraiche diverse (in greco, nella LXX, il nome è addirittura lo stesso: Iesous). Per cui i Padri della Chiesa, sia greci che latini, hanno visto in Giosuè che introdusse Israele nella terra promessa una figura, una anticipazione di Cristo, che introduce il popolo dei fedeli in paradiso.

Infine un'annotazione storico-teologica sul nome di Gesù. Questo nome è spesso raffigurato nelle tre lettere IHS, scritte in stampatello maiuscolo e circondate da raggi solari, sovrastate da una croce e con i tre chiodi della passione sottostanti. In realtà la lettura corretta è IES, perché queste sono le prime tre lettere del nome di Gesù in greco (in greco la E (eta) in stampatello maiuscolo ha la forma della nostra lettera H). Sappiamo che nel nome di Gesù in lingua latina e italiana non c'è nessuna H. Probabilmente questa rappresentazione con tre lettere del nome di Gesù deriva dall'iconografia greca, dove simili abbreviazioni sono assai frequenti. Persasi in Occidente la conoscenza della lingua greca, a partire dal Medioevo, le tre lettere conservarono il significato del nome di Gesù, ma vennero interpretate anche come la sigla di “Iesus Hominum Salvator” (Gesù salvatore degli uomini), che in effetti non è altro che una traduzione del nome “Gesù”. La devozione al trigramma IHS si diffuse soprattutto ad opera di san Bernardino da Siena e dei francescani suoi seguaci e poi ad opera della Compagnia di Gesù, che ne fece uno dei propri simboli.